Bikes Vs. Cars ovvero o noi o l’auto

Ebbene sì, stavolta non abbiamo resistito alla tentazione della photo opportunity.

Accogliamo con gioia la notizia del premio assegnato a Bikes Vs. Cars, il documentario del regista svedese Fredrik Gertten, al 18° Festival Cinemambiente di Torino. Come diceva il Mucchio Selvaggio di certi dischi di Van Morrison, fate di tutto per vederlo! Occupate i cine, tutte e dieci le sale se necessario, organizzate proiezioni pirata, datevi al click-baiting come grillini arrazzati. E, ovviamente, andateci in bici! O almeno in car-pooling! :-p

Il perché dovreste già saperlo. Leggere 740 pagine di Naomi Klein fa fatica, vabbé, ma in cuor vostro sapete già che ogni volta che salite in macchina non è solo il cagnino sul cruscotto a guardarvi male, ma i vostri figli, la vostra coscienza e la vostra prostata, in pratica il vostro futuro.

Sappiamo già che simpaticoni equanimi e democratici siano i produttori di automobili. Ma credeteci, difficile immaginare quanto! Quanto ci vogliano male.

"Gli ingorghi di traffico saranno un ricordo del passato!"
“Otto corsie di levigato cemento che corrono da qui a Pasadena!… E meravigliosi cartelloni pubblicitari a perdita d’occhio!”

Già Roger Rabbit aveva mostrato lo smantellamento del trasporto pubblico di Los Angeles -nel 1946 il migliore del mondo- come il sogno di un folle.

Oggi le otto, dieci, dodici corsie della Freeway 405 che scandiscono, dettano, sublimano le vite quotidiane dei losangelini sono il più eloquente monumento alla specie umana che ha deciso di annientare se stessa: nel 2011 una chiusura di 48 ore per manutenzione getta tutti nel panico (“è il Carmageddon!”), il simpatico Dan Koeppel, nella notte, scavalca le barriere e con la sua bicicletta sfreccia felice per il serpentone deserto e finalmente accogliente e fruibile.
En passant veniamo a sapere che in quella singola notte la qualità dell’aria di L.A. migliorò dell’83{17c081956b6e3eb447b6624e90fca47d4241cd01e0c7cda94c57eb9c3d4dd548}, ma capiamo bene l’euforia del simpatico cicloattivista: è la stessa epifania, lo stesso senso di liberazione che tutti i valsusini conoscono bene da quando occuparono per la prima volta la A32 (da qui la loro pericolosità sociale, come vi diranno i più blaS(u)onati giudici antimafia convertiti al Verbo Sì Tav :-p)!

Pedalando, anzi svolazzando tra città emblematiche come appunto L.A., Sao Paulo e Toronto, si aggregano dati e storie che mostrano, in sintesi, che l’auto privata, simbolo del moderno capitalismo, dello sviluppo e della prosperità delle città, ne è oggi diventata la pietra tombale. Costruire le città su misura del traffico privato significa costruirla contro i suoi abitanti.
Dovreste saperlo già, ma repetita juvant: oltre la metà del traffico privato cittadino (a L.A. il 53{17c081956b6e3eb447b6624e90fca47d4241cd01e0c7cda94c57eb9c3d4dd548}) copre percorsi sotto le 3 miglia (5 km dé!), quindi è sostanzialmente i-nu-ti-le! E anziché favorire la puntualità, l’efficienza, gli affari, li uccide. Oltre a ucciderne, per inciso, gli abitanti, fruitori o no.

Nel film ha spazio anche un appassionato delle auto di lusso. Vediamo i gioiellini della tecnica e del design, tutti lusso e cromature, sfilare nel piazzale deliziando i fans e ti viene detto: come i Russians di Sting, anche i fabbricanti di automobili ameranno ben i loro bambini!

Eppure tutte le prove raccolte indicano, impietose, il contrario. Vi abbiamo già parlato dei meccanismi di lobbismo che manovrano le decisioni prese in sede legislativa. Ma che dire della continua e reiterata pioggia di fondi versati dall’industria dell’automobile a governi (persino i più piccoli amministratori locali!), istituzioni e media? Del meccanismo truccato degli indici di efficienza ambientale per cui uno spetazzante Suv risulta meno inquinante di una Panda?
E quando il film è uscito non era ancora scoppiato lo scandalo Volkswagen!

A nostra domanda in proposito, il regista Gertten risponde esplicito: capirei uno sforare di tre, quattro volte i limiti pubblicizzati, ma quaranta volte? Significa una rottura di qualsiasi patto che potesse ancora esistere.

Dal ricco fabbricante al più misero concessionario, siamo di fronte a un esercito di avidi sterminatori che non si fermeranno finché non avranno riempito tutto il pianeta di asfalto, gomma bruciata e gas. E se nel frattempo si mette sotto -possibilmente in maniera cruenta, come nel film vediamo accadere a Sao Paulo- qualche impiccione in bicicletta tanto di guadagnato!
In fondo è colpa loro, scandisce serafico il sindaco di Toronto (eh sì).

“Va bene, bisogna ridurre le emissioni e l’uso dell’auto privata, ma proprio adesso? Dopo, dai.” Se proprio siete d’accordo con chi vuole la vostra morte, affari vostri. Anzi, no, affari nostri.
Se non è bastata la fuga di Marchionne ad aprire gli occhi ai torinesi, certo è inutile che lo scriviamo noi, ma diciamolo lo stesso: siete già dalla parte sbagliata del burrone, non la scampate, è inutile consolarsi pensando che tanto succederà prima a qualcun altro. Quelle chiavi non sono un tigre nel motore, sono una catena al piede.

La salvezza è semplice, così ridicolmente semplice che non ci si vuole credere ma è lì, nella sua umile e splendente evidenza: con i suoi due pedali, il suo manubrio, sellino  e campanello.

So long e grazie per tutte le sgasate.

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