Intermezzo: riflessioni scritte tra Viareggio e Pisa

La domenica piovosa di questo 15 giugno pisano ci costringe a casa, ospiti di Costanza e Marco, una giovane coppia che ha ri-festeggiato il suo matrimonio in compagnia di amici provenienti da ogni luogo d’Italia. Un’occasione, insomma, per rivedersi tutti e, perchè no, sviscerare nostalgicamente i propri amarcord, accompagnati da chitarra, organetto e voce. Una simpatica serata che per noi è stata occasione per conoscere nuove persone e raccontare del nostro progetto, che suscita sempre grande curiosità. Ogni riflessione è per noi uno stimolo, e non ne mancano in questi giorni in cui i muscoli sono un tantino a riposo (ma domani, tempo permettendo, si ripartirà); ne approfittiamo perciò per muovere la penna e condividere i nostri pensieri.

Ci stiamo convincendo sempre più, ascoltando le storie di tanti, che la cooperazione tra persone con lo scopo di costruire nuovi modelli in cui vivere potrebbe essere la migliore e forse unica soluzione all’attuale modello di vita, ormai in declino.

La cooperativa, non solo come attività commerciale ma anche come modello di sviluppo opposto al forte individualismo di quest’epoca, presuppone però una responsabilità individuale e una consapevolezza delle proprie competenze. Il giovane in cerca di un lavoro gratificante, che è disposto a cercare anche all’estero, lo ribadisce tal quale all’uomo di mezza età che vede portarsi via il lavoro da un giorno all’altro.

Gli stimoli di questi giorni hanno prodotto la riflessione che segue, frutto anche di una ricerca precedente che abbiamo seguito già prima di partire da Torino.

Nel 1844 un gruppo di tessitori della cittadina inglese di Rochdale in piena rivoluzione industriale costituì il primo spaccio cooperativo, con lo scopo di impegnarsi per migliorare la difficile situazione economica dei soci. Nasceva così il primo movimento cooperativo, che divenne esempio per tutta l’Europa. Pioniera nella nascita di realtà di mutuo soccorso in Italia fu Torino che, dieci anni dopo l’Inghilterra, fondò la Società Operaia di Mutuo Soccorso, a cui seguì nel 1893 la nascita della Lega Nazionale delle Cooperative.

Siccome la Storia tira sempre le fila, anche a distanza di secoli, forse non è un caso che Torino, in casa propria, abbia rincontrato l’Inghilterra nel 2012 proprio per affrontare una spinosa questione legata al mondo delle cooperative, o meglio all’evoluzione di ciò che erano un tempo le società di mutuo soccorso.

In quell’anno, infatti, il Torino Film Festival, organizzato dal Museo Nazionale del Cinema, assegnava due premi alla Carriera: Ken Loach, regista inglese, lo rifiutava in solidarietà con i lavoratori della Coop Rear in protesta contro i licenziamenti illegittimi; Ettore Scola affidava invece il premio al sindaco Fassino promettendo di ritirarlo non appena i lavoratori fossero stati riassunti.

La Rear, guidata dal consigliere regionale Mauro Laus, è la società cooperativa che dal 2001gestisce i servizi del Museo del Cinema di Torino, che ha sede all’interno della Mole Antonelliana.

Agli operatori Rear che lavorano nel Museo veniva applicato, all’epoca dei fatti, -e diversamente dagli altri musei della città- il contratto U.N.C.I. che in più sentenze è stato definito contrario al disposto dell’art.36 della Costituzione in merito alla parte economica, quindi lesivo della dignità della persona.

Nel 2011 alcuni soci lavoratori della Rear, operanti nel Museo, erano stati sospesi, altri licenziati a seguito di proteste contro la riduzione dello stipendio da parte della Rear -che dichiarava crisi aziendale, causa ritardi nei pagamenti delle committenze pubbliche. Nel 2013 su ricorso di uno dei lavoratori licenziati, Rear e Museo del Cinema, in solido tra loro, venivano condannate a pagare i differenziali salariali sulle retribuzioni. Mauro Laus, accusato di aver minacciato i lavoratori dissenzienti, aveva contestato tali fatti descritti da un giovane giornalista free lance in una striscia on-line, al punto da querelarlo facendogli rischiare una pena di 4 mesi di reclusione. Il testo della sentenza (non contestata dal Presidente della Rear) emanata dalla IV Sezione Penale del Tribunale di Torino nell’aprile 2013 assolve il giovane giornalista precario e afferma questa dura verità processuale : “è innegabile che i provvedimenti disciplinari fossero stati irrogati nei confronti di lavoratori vicini al sindacato USB (di cui la Rear aveva precluso l’ingresso tra le rappresentanze sindacali) […], risulta arduo contestare il significato ritorsivo delle sanzioni stesse, in particolare per quanto qui interessa, il licenziamento dell’Altieri per aver protestato contro la sospensione di una collega ben può essere considerato come un implicito avvertimento nei confronti degli altri dipendenti della Rear”.

Ecco, noi abbiamo conosciuto Federico Altieri, uno dei cinque lavoratori licenziati, alcuni mesi fa alla proiezione di Kes, secondo film di Loach che, per l’occasione, era stato invitato dal Piccolo Cinema a Torino. Peccato che fosse il 1° aprile e il pesce era ancora fresco! Sebbene non fosse tra noi, Loach aveva comunque inviato una lettera in segno di attenzione verso la questione ancora irrisolta.

Scherzi a parte, conoscevamo la “vicenda Rear” ma incontrare Federico ci ha svegliati dal torpore dell’indifferenza. Fu lui a scrivere a Loach quando venne licenziato. Qualche anno prima aveva visto il suo Bread And Roses, che gli sembrò paradossalmente ispirato dalla sua vicenda personale. Tentò di contattare il regista, che nella sua terra è il simbolo della rivendicazione operaia.

Federico, – che aveva osato indossare una maglia di protesta per solidarietà ad una sua collega sospesa dalla Rear– ad oggi è ancora in cerca di un lavoro, il suo obiettivo, anche per coerenza verso la vicenda che l’ha visto protagonista, sarebbe quello di tornare tra le mura della Mole, il museo più visitato della città -accoglie circa mezzo milione di visitatori all’anno-, ma non ci è ancora riuscito. Le volontà politiche gli sono avverse, inoltre le elezioni regionali hanno catalizzato l’attenzione e finché non si saranno ristabiliti gli equilibri di potere Federico non avrà alcuna risposta. In un limbo che deprime l’animo lui non si arrende e porta avanti la sua lotta con una coerenza che, solo quella, dovrebbe far tremare Palazzo Lascaris.

In realtà, c’è stato un momento in cui sembrava che si fosse palesata l’opportunità di essere riassunto: nel marzo 2013 “ mi veniva richiesta una lettera da indirizzare allo stesso Mauro Laus, al Sindaco Fassino ed a Ettore Scola. Mi sono stati suggeriti molti, come chiamarli, “consigli”, ero molto sotto pressione e dopo dolorose incertezze ho inviato ai soggetti sopraindicati una lettera dal titolo La Promessa. Osavo chiedere agli illustri destinatari delle mie parole, per me e per i miei colleghi, un contratto dignitoso”, così ha scritto Federico in una lettera inviata lo scorso marzo al PD piemontese, chiedendo espressamente di modificare le condizioni contrattuali a cui erano sottoposti i lavoratori del Museo. Lettera a cui non è seguita alcuna risposta. Per chiarezza, la paga oraria di un socio lavoratore Rear presso la Mole, all’epoca dei fatti, era di 5,44 euro lordi, in passato anche 5,16 euro lordi con un netto orario di circa 4 euro ed è con il netto che si affrontano le incombenze della vita. Oggi il nuovo contratto applicato e firmato da Cgil, Cisl, Legacoop e Confcooperative sarà diverso e migliorativo? Siccome un disegno vale più di mille parole, ecco la tabella presa direttamente dall’attuale contratto con l’importo mensile lordo per 173 ore di lavoro (Federico era inquadrato al 6° livello nel contestato contratto Unci).

Tabella paghe

Cambiano i nomi dei contratti dunque ma la ricchezza dei lavoratori non cambia.

Mauro Laus, che all’epoca della vicenda era, oltre che Presidente Rear anche vice presidente regionale della Commissione Cultura, ha sempre sostenuto che le paghe base sono molto basse, per cui le aziende nella partecipazione ai bandi di gara dovrebbero adeguarsi per sopravvivere sul mercato. L’evidente conflitto di interessi di Laus, per altro, non è mai stato denunciato da alcuno. Mah.

Ora, perché scrivere di questa vicenda?

Accumulare 200 ore al mese per uno stipendio di circa mille euro, spero conveniate con noi, non si può chiamare lavoro, ma c’è una propensione verso lo sfruttamento di persone che, sebbene definite in più occasioni “bamboccioni”, non riescono certo a sopravvivere con questi presupposti o a sperare in una autonomia economica.

La storia di Federico, che è quella di tanti lavoratori, della Rear e non, condiziona la storia della cultura torinese, quindi italiana: il settore di cui l’Italia dovrebbe andare orgogliosa, e spesso è così, è tenuto in piedi da un sistema di gestione privato che collide con il pubblico, che tenta di sfruttare la crisi economica in corso per chiedere ulteriori sforzi ai lavoratori. Sempre loro.

Bread And Roses di Loach, insomma, non ha insegnato nulla dal 2000 ad oggi! Nel film come nella vicenda Rear i lavoratori lottano per la sindacalizzazione, cioè per cooperare contro lo sfruttamento dei loro datori di lavoro, e sia negli States democratici che nell’Europa giusta l’iniziativa non è ammessa. Nel film Maya, la protagonista, finisce per essere espulsa nel suo Paese di origine, il Messico, nella realtà Federico, dopo il licenziamento e dopo aver scelto di non ritrattare – fatti per altro definitivamente accertati dal Tribunale di Torino-, è in cerca di qualche lavoro estivo, in attesa che la situazione si sblocchi. Un “invisibile” senza contratto, debole nella rivendicazione dei suoi diritti, come tanti di noi, che andiamo in cerca di un futuro che non c’è, finché saremo legati ad un sistema politico ed economico che sposa gli interessi dei più forti e che per rafforzarli intacca la vita degli ultimi della catena.

Forse è arrivato il momento di far prevalere il senso di collettività, la cooperazione tra simili, apriamo le orecchie, tiriamo fuori la testa dal sacco e cominciamo a guardare la realtà per quella che è, senza paura: crediamo sia l’unico strumento di difesa e di sopravvivenza in una gabbia di leoni.

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