Pisa ci ha tenuti metaforicamente chiusi tra le sue mura per alcuni giorni, ma martedì 17 accompagnati nuovamente dal sole riprendiamo la strada in direzione Volterra.
Uscire dalle città è sempre la parte più dura, le gambe chiedono conto dei giorni di astinenza, ma all’altezza di Cascina, complice una focaccia col giusto grado di olio, riprendiamo finalmente il ritmo e l’ebbrezza del viaggio.
Sulla SS67, la strada Tosco-romagnola, attraversiamo Riglione, Navacchio, Cascina fino alla meravigliosa zona industriale di Ponsacco, nota per le sue archeologie industriali storiche! 🙂 Dopo l’ultima rotonda il paesaggio finalmente comincia a trasformarsi ed entriamo nella Toscana dorata, quasi troppo bucolica per essere vera. Ci riempiamo gli occhi del giallo delle sinuose colline soleggiate mentre le frazioni si susseguono, Peccioli da una parte, Terricciola dall’altra, Lajatico…
Le targhe delle auto intorno sono inequivocabili. NL, BG (non Bergamo!), DE, CH e GB e sarà suggestione, ma sembra che ci sorpassino con più grazia!
In un silenzio irreale siamo coperti di tanto in tanto dalla piacevole ombra di qualche cipresso che costeggia infiniti viali sterrati che conducono a cascine nascoste tra le curve dei colli. Intanto il tramonto ci accompagna e d’improvviso scorgiamo Volterra che troneggia sulla collina. Ma non è ancora il momento di raggiungerla. Siamo attesi alla Fattoria Il Lischeto. Lasciata la Volterrana, percorriamo circa 2 km di strada bianca circondati da un paesaggio che ipnotizza: a destra, si staglia in cima all’altura la statua in bronzo Equanimity realizzata dall’artista Emilie, simbolo dell’equilibrio interiore, ha la forma di un punto interrogativo rovesciato e rappresenta una donna che, al contrario di Atlante che regge il mondo sulle spalle, lo tiene in equilibrio sui suoi piedi in modo giocoso, un po’ come il giocoliere francese Leo Bassi in questa immagine; a sinistra tanti massi colorati disposti in cerchio, opera di un altro artista, ricordano la struttura di un giardino zen. Una costruzione in ferro a forma di tetto ci indica finalmente l’entrata alla fattoria quando ormai è quasi buio. Ci accoglie un profumo di formaggio e l’immagine di una pecora nera ci dice che questa è terra di pecore, sarde per la precisione, con le quali Giovanni Cannas, il proprietario, produce il primo pecorino DOP, prodotto e trasformato in terra toscana. Il luogo, la struttura dell’agriturismo, la deliziosa cena e la visita il giorno dopo a Volterra ci svelano qualcosa di Giovanni e allo stesso tempo accrescono il nostro immaginario intorno a questa persona.
Il mattino dopo non ci sottraiamo alla salita che ci porta a Volterra. Posta sulla punta della collina, è protetta dalle antiche mura etrusche e circondata da balze prodotte dall’erosione del terreno nel tempo; sotto le ruote si aprono vere e proprie voragini, cicatrici fresche come morsi di un gigante sull’asfalto, corredate di nastro rosso e bianco. La città di argilla, almeno per me che la vedo per la prima volta, si fa desiderare: curva dopo curva appaiono solo sprazzi di quello che promette di essere un centro storico spettacolare. Quando finalmente approdiamo in piazza Martiri della Libertà il panorama è brutalmente interrotto da blocchi e tiranti. Il 30 gennaio scorso sono crollati 30 metri di mura a seguito delle piogge e undici case sono state evacuate.
Proprio la ferita sarà il tema portante dell’edizione di quest’anno di Volterrateatro, la storica manifestazione organizzata dalla Compagnia della Fortezza.
Partire da una condizione di deprivazione è caratteristica portante della Compagnia fondata nel carcere da Armando Punzo ormai dal 1988 e composta interamente da detenuti. Presenti fisicamente ma in realtà separati dal corpo della città, partecipano con forza e intensità al nuovo lutto che ha colpito non solo la realtà quotidiana ma la Storia stessa.
Ne parliamo con Cinzia De Felice, direttrice organizzativa del Festival, che ci ascolta stoica nonostante la gragnuola di chiamate e messaggi in arrivo da ogni dove. L’idea di due viaggiatori che solcano le strade perfettamente indifesi nel traffico, quasi due moderni clerici vagantes, sembra ispirarla nel percorso del festival: chi vivrà vedrà 😉
E salta di nuovo fuori il nome di Giovanni Cannas, che diede un contributo decisivo all’evento speciale del Festival 2010, I Sentieri della Transumanza in collaborazione con il progetto Incontro Transfrontaliero! “Ospitò un concerto al Lischeto e portò in quattro e quattr’otto 100 pecore in piazza con il furgone!” ricorda Cinzia. “Il mio primo dipendente fu un detenuto”, ricorda Giovanni nella nostra chiacchierata, dimostrando una sensibilità verso persone svantaggiate fin dagli anni ’80.
Con mille pecore era partita l’avventura di Cannas padre dalla Sardegna al Continente. Pecore che il capitano del battello, alle prime avvisaglie di tempesta, avrebbe voluto buttare fuori bordo. “Agli occhi di mio padre questa terra sembrava il Paradiso: ricordava la Sardegna, ma meno arida e sassosa.” E in anni di lavoro indefesso il giovane Giovanni da pastore divenne casaro, specializzandosi nella produzione di pecorino a latte crudo; trasformò man mano le stalle nella struttura agrituristica che è oggi il Lischeto, realizzando al suo interno un pastificio e un caseificio in modo che le fasi della trasformazione del prodotto avvenissero in loco.
Oggi la sua fattoria possiede 200 pecore con le quali produce il primo pecorino DOP Volterrano, per il riconoscimento del quale si è battuto da molti anni quale Presidente dell’omonima associazione. L’azienda è al 16° posto per la produzione di olio nella graduatoria mondiale Biofach, la maggiore fiera mondiale dei prodotti biologici, esporta le produzioni in Europa, Russia, Stati Uniti in quantità limitate perché, nonostante sia un’azienda da anni sul mercato, non può permettersi di entrare nella grande distribuzione.
Uno dei suoi motti è dare valore al proprio prodotto affinché anche gli altri lo riconoscano. La Toscana è una delle aree più fertili d’Italia, in cui la gastronomia governa gran parte del turismo, soprattutto straniero, ma il passaggio non è automatico: anche qui, secondo Giovanni, bisogna sapersi creare le occasioni di sviluppo. E da dove partire? Per esempio da ciò che cresce spontaneamente dalla terra: in val di Cecina andrebbe ripristinata la coltivazione del carciofo, come si fa già con lo zafferano, puntando non tanto sulla quantità ma differenziandosi nella qualità. Un’attenta riflessione sul giusto prezzo da imporre sul prodotto non è una questione marginale: qualità vuol dire anche rispettare i contratti di lavoro dei propri dipendenti e pagare il prodotto all’origine riconoscendo il lavoro del produttore.
La legge, riconosce Cannas, non tiene conto delle piccole produzioni, perciò oggi più che mai è necessario creare sinergie sul territorio tra produttori locali. Sinergie che si manifestano, a livello locale, anche nella creazione di un comitato di protesta contro la creazione di una diga sul Masso delle fanciulle, luogo di enorme interesse naturalistico nei pressi di Saline di Volterra, che dovrebbe servire al recupero dell’acqua. In realtà una buona quantità di acqua che manca al territorio viene utilizzata dalla multinazionale belga Solvay per l’estrazione di salgemma, pagata al Comune a solo 1 centesimo per tonnellata di sale. Le ultime notizie riportano che la Conferenza dei Servizi ha sospeso la prescrizione che imponeva alla Solvay di dimezzare il prelievo di acqua e i Comuni interessati, Volterra, Pomarance, Montecatini Val di Cecina e Saline di Volterra, attendono ancora che la Solvay garantisca al territorio le compensazioni che gli spettano.
Non si è mai parlato tanto di gastronomia come in questo tempo di crisi, tanto da provocare indigestione! Ma le altre attività come sono collocate sul mercato? A Volterra abbiamo incontrato anche Giorgio Pecchioni, artigiano dell’alabastro, che ci ha raccontato la sua esperienza. L’estrazione e la lavorazione dell’alabastro è un’antica tradizione volterrana, ma lui è stato il primo a intuirne un’applicazione inedita: Giorgio Pecchioni è infatti stato il primo a produrre strumenti musicali in alabastro. Ha cominciato con il flauto su richiesta di Walter Maioli (Aktuala, Synaulia), riproducendo le caratteristiche di quello raffigurato su un’urna cineraria etrusca, ha proseguito con la chitarra per arrivare ad una intera batteria. Molti musicisti si sono innamorati dei suoni riprodotti dagli strumenti in alabastro, che sono un valido supporto anche nell’ambito dello studio della musica antica. Il progetto dell’Alabastro Sonoro è però un artigianato di nicchia che, come molti settori, in questo periodo vive una profonda crisi economica.
Oggi l’alabastro a Volterra non viene quasi più estratto, in gran parte viene lavorata la pietra importata dalla Spagna, più facile da modellare ma di qualità più bassa. Giorgio ci racconta che si lavora ben poco, su commissione e soprattutto con clienti stranieri, che scelgono le produzioni in loco e se le fanno spedire direttamente a casa.
Mentre risaliamo in sella la domanda ci sorge spontanea: in una realtà come quella toscana, in cui il turismo si è costruito il suo percorso ormai da anni, perché stentano a sopravvivere attività artigianali di alta qualità e strettamente legate alla tradizione del territorio?
Due idee cominciamo a farcele…